Non voglio tornare sui casi Sarri e De Rossi per ripetere
frasi già dette, concetti già espressi o, ancora peggio, prendere parte al
giochino del “chi ha torto, chi ha ragione e perché”.
Di questi due episodi mi colpisce, soprattutto, la poca
importanza che, oggigiorno, si dà alle parole. “Finocchio e frocio” come primo
“primo insulto che mi è venuto in mente” (cit. Sarri) o “zingaro di merda” come
epiteto da schiaffare in faccia a un collega croato.
Che ci sia veramente un intento razzista o omofobico non è
dato sapersi. Giocando da sempre, capisco chi sottolinea come in campo possano
sprecarsi insulti gratuiti, esagerati e irripetibili o inconcepibili a mente
fredda. Ma questo non toglie che la facilità con cui si gettano al vento certe
espressioni sia alquanto pericolosa, deludente e allarmante.
Perché non è possibile che nel 2016 si possa dileggiare un
avversario dandogli dell’omosessuale; perché ancora non si è capito che fare di
tutta l’erba un fascio è sempre sbagliato e pericoloso. Perché se “zingaro”
indica un’etnia precisa, è assurdo che nella nostra quotidianità – ed è così –
sia utilizzato per etichettare una persona dell’est Europa o, più
genericamente, qualcuno che ci pare losco, delinquentello e via dicendo.
Gli stereotipi, mi hanno insegnato, nascono proprio così. E
così si tramandano, fino a diventare ombre pericolose della nostra cultura.
Quello che davvero mi preoccupa, oltre, ovviamente, a
quell’ignoranza filo-razzista (più o meno effettiva che sia), è proprio questo
svuotamento del significato delle parole. Come se non gli riconoscessimo il
loro vero senso. Private della loro natura per preconcetti perpetuati e, ahimè,
mai sopiti, vengono buttate lì senza riflettere nemmeno un secondo sulla loro
importanza. E così ti dileggio dandoti dello “spastico”, del “mongolo”,
dell’”handicappato”, del “musulmano”….
Termini che hanno una loro definizione e che la nostra
ignoranza ha, o sta, trasformando in epiteti sgarbati e buoni solo per tradurre
la nostra rabbia e il nostro odio.
Facciamo attenzione allora a ciò che diciamo. Sempre e
comunque. Quando dichiariamo un amore così come quando litighiamo e insultiamo
qualcuno. Perché l’insulto può scappare e ci sta –non facciamo i bigotti e
moralisti -, ma se “sano e puro”. Ritorniamo, se proprio dobbiamo, sui campi e
no, a dare del “coglione” o simili. E allora sì che utilizzeremo espressioni
azzeccate.
«Non
è mia abitudine usare le parole con leggerezza. Se 27 anni di carcere mi hanno
insegnato qualcosa, è che il silenzio della solitudine ci può far capire quante
sono preziose le parole e quanto davvero possono cambiare il modo in cui le
persone vivono e muoiono»
Nelson Mandela
Complimenti dott. Pezzetti per l'articolo. La ammiro come giornalista perche in poche righe è riuscito ad affrontare con semplicità e chiarezza un concetto molto importante che sta colpendo molto la mia sensibilità e quella dei miei cari. Articoli come questi dovrebbero essere presi in considerazione non solo dai mass media ma anche dal comitato che assegna il premio Pulitzer. Complimenti ancora dottore.
RispondiEliminaLa ringrazio caro Lorenzo. Pur non conoscendola, sono sicuro sia a me vicino per idee, educazione e cultura sportiva. Continui così.
Eliminacomplimenti per la scelta delle parole e per non aver fatto finta di niente dato che riguardava il suo idolo. Buon lavoro
RispondiEliminaLa ringrazio. Ahimè anche gli idoli cadono, soprattutto se hanno quel temperamento non sempre affidabile
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