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lunedì 25 gennaio 2016

Restituiamo alle parole la loro importanza


Non voglio tornare sui casi Sarri e De Rossi per ripetere frasi già dette, concetti già espressi o, ancora peggio, prendere parte al giochino del “chi ha torto, chi ha ragione e perché”.

Di questi due episodi mi colpisce, soprattutto, la poca importanza che, oggigiorno, si dà alle parole. “Finocchio e frocio” come primo “primo insulto che mi è venuto in mente” (cit. Sarri) o “zingaro di merda” come epiteto da schiaffare in faccia a un collega croato.

Che ci sia veramente un intento razzista o omofobico non è dato sapersi. Giocando da sempre,  capisco chi sottolinea come in campo possano sprecarsi insulti gratuiti, esagerati e irripetibili o inconcepibili a mente fredda. Ma questo non toglie che la facilità con cui si gettano al vento certe espressioni sia alquanto pericolosa, deludente e allarmante.

Perché non è possibile che nel 2016 si possa dileggiare un avversario dandogli dell’omosessuale; perché ancora non si è capito che fare di tutta l’erba un fascio è sempre sbagliato e pericoloso. Perché se “zingaro” indica un’etnia precisa, è assurdo che nella nostra quotidianità – ed è così – sia utilizzato per etichettare una persona dell’est Europa o, più genericamente, qualcuno che ci pare losco, delinquentello e via dicendo.

Gli stereotipi, mi hanno insegnato, nascono proprio così. E così si tramandano, fino a diventare ombre pericolose della nostra cultura.

Quello che davvero mi preoccupa, oltre, ovviamente, a quell’ignoranza filo-razzista (più o meno effettiva che sia), è proprio questo svuotamento del significato delle parole. Come se non gli riconoscessimo il loro vero senso. Private della loro natura per preconcetti perpetuati e, ahimè, mai sopiti, vengono buttate lì senza riflettere nemmeno un secondo sulla loro importanza. E così ti dileggio dandoti dello “spastico”, del “mongolo”, dell’”handicappato”, del  “musulmano”….

Termini che hanno una loro definizione e che la nostra ignoranza ha, o sta, trasformando in epiteti sgarbati e buoni solo per tradurre la nostra rabbia e il nostro odio.

Facciamo attenzione allora a ciò che diciamo. Sempre e comunque. Quando dichiariamo un amore così come quando litighiamo e insultiamo qualcuno. Perché l’insulto può scappare e ci sta –non facciamo i bigotti e moralisti -, ma se “sano e puro”. Ritorniamo, se proprio dobbiamo, sui campi e no, a dare del “coglione” o simili. E allora sì che utilizzeremo espressioni azzeccate.


«Non è mia abitudine usare le parole con leggerezza. Se 27 anni di carcere mi hanno insegnato qualcosa, è che il silenzio della solitudine ci può far capire quante sono preziose le parole e quanto davvero possono cambiare il modo in cui le persone vivono e muoiono»

Nelson Mandela

4 commenti:

  1. Complimenti dott. Pezzetti per l'articolo. La ammiro come giornalista perche in poche righe è riuscito ad affrontare con semplicità e chiarezza un concetto molto importante che sta colpendo molto la mia sensibilità e quella dei miei cari. Articoli come questi dovrebbero essere presi in considerazione non solo dai mass media ma anche dal comitato che assegna il premio Pulitzer. Complimenti ancora dottore.

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    1. La ringrazio caro Lorenzo. Pur non conoscendola, sono sicuro sia a me vicino per idee, educazione e cultura sportiva. Continui così.

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  2. complimenti per la scelta delle parole e per non aver fatto finta di niente dato che riguardava il suo idolo. Buon lavoro

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    1. La ringrazio. Ahimè anche gli idoli cadono, soprattutto se hanno quel temperamento non sempre affidabile

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