Sono piuttosto convinto che l’infortunio di Toloi sia stato
favorevole all’Atalanta.
Non me ne voglia il buon Rafael, che stimo e ritengo buon
giocatore, ma la sua uscita ha convinto (e forse costretto) Reja a cambiare
modulo e passare alla difesa a cinque.
Edy, infatti, aveva optato per il 3-5-2 visto nelle
ultime due partite, non a caso con luci e ombre. Rispetto a Frosinone, Conti
per Raimondi, Cigarini per Migliaccio e Denis (che andava schierato anche con
una gamba fratturata; ci macherai!) come prima punta al posto di Monachello.![]() |
German Denis, "El Tanque", alla sua ultima in maglia nerazzurra. |
Uno scelta che era apparsa subito audace o, meglio, malaccorta. Perché il Sassuolo di Di Francesco è squadra organizzata che sfrutta a meraviglia il lavoro degli esterni di attacco per creare pericoli ai centrali difensivi avversari e, in alternativa, aprire spazi interessanti per i terzini, Vrsaljko su tutti. L’azione del gol neroverde, distrazione colossale di Dramè a parte, nasce proprio da lì.
Dunque fuori Toloi, difesa che torna a quattro e Diamanti
che entra per fare da partner al Papu nella linea dietro a Denis. Con, però,
qualche compito difensivo in più. Anche perché, dalla sua parte, Conti è
portato a spingere molto e Cigarini, che pur sta interpretando bene il ruolo di
mezz’ala, nasce meno incontrista di Kurtic. Ammesso e non concesso che lo
sloveno abbia voglia (stasera un po’ meglio rispetto a Frosinone) di essere
ancora definito tale.
Squadra che ha faticato a trovare i nuovi equilibri ma che,
soprattutto nella prima parte di ripresa, ha giovato del cambio tattico. Kurtic
e Cigarini hanno avuto più libertà di inserimento, perché Conti e Dramè erano,
gioco forza, più bloccati; Diamanti, pur non strafacendo, ha attirato su di sé
l’attenzione dei difensori; Gomez, partendo largo a sinistra, è più pericoloso e
a suo agio, soprattutto perché può convergere.
Non ne è comunque uscita un’ Atalanta dominante; anzi. Il
Sassuolo non è un avversario qualsiasi e scende sempre in campo per imporre la
propria filosofia, moderna e piacevole, rifiutandosi di chiudersi e poco altro,
ma va detto anche che i nerazzurri non sono più quelli spavaldi visti qualche
settimana fa. Non ho scoperto l'acqua calda. I risultati dicono la verità. Il gioco espresso merita i punti
raccolti e nulla più. Sottolineando che, non fosse per il lungo digiuno e il
momento particolare, un pareggio con i romagnoli non è poi da buttar via.
Si va a fiammate e sporadiche accelerazioni. Che sono quelle
che animano la gente e rimangono nella testa, facendo pensare, di sovente, che
avremmo meritato di più. Ma non è così. Sono singulti estemporanei figli del
momento e a quello circoscritti. Risultato della spinta del pubblico e
dell’orgoglio più che di una squadra veramente in salute.
Mi pare che questa Atalanta abbia perso smalto, e ci può
stare, ma, ahimè, anche identità. E non poteva essere altrimenti, in
particolare dopo questa sessione di mercato: tanti, troppi movimenti, meno
certezze e una rosa per metà da testare. Un amalgama che non può nascere
schioccando le dita o indossando la stessa divisa.
Nessuno chiede che i nuovi innesti siano pronti da subito.
Così come nessuno ha chiesto che la Dea fosse stravolta. Rinforzata sì, scossa
no. Perché se è vero che c’era già stato un calo evidente, è altresì
condivisibile l’idea che la frenata fosse fisiologica e passeggera. Magari proprio puntando su
un undici compatto e tosto che aveva raggiunto una propria solidità. Percorso
per me più condivisibile e auspicabile di un vigoroso shakeramento.
Il mercato ha le sue logiche, e di certo non sono io a
conoscerle. So solo che i miei occhi leggono di un +8 (che tale rimarrà fino al
prossimo turno) sulla zona retrocessione. Dunque, tutt’altro che tranquilli e
con la testa proiettata all’anno futuro. Non vorrei che, però, la società
vedesse le cose con lenti diverse. Sarebbe rischioso, prematuro e azzardato.
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