MIAMI HEAT (48-34), voto 7.5
Aver vinto la Southeast Division non è da poco, perché è
stata combattutissima sino alla fine, con tre squadre in grande spolvero.
Miami ha avuto la meglio, forse, grazie alla propria
solidità, figlia del mix di esperienza, talento e voglia di aprire un nuovo
ciclo.
![]() |
Hassan Whiteside: un muro (foto dal web) |
Gli Heat hanno fatto della forza difensiva il proprio
cavallo di battaglia, proponendo un gioco poco spettacolare ma estremamente
concreto e ostico per ogni avversario. Spoelstra ha potuto contare su un roster
guidato dal carisma di Wade e Bosh, finché c’è stato, dalla crescita
esponenziale di Whiteside e dalla duttilità degli altri elementi: dal “già
pronto” Winslow, alla sorpresa Richardson, passando per l’imprevedibile Gerald
Green e il prezioso, benché incostante, Deng.
Il cambio di marcia di Dragic (pallido per mesi e mesi) e la
sapiente aggiunta di Joe Johnson hanno completato il quadro. Sprint finale
decisivo e terzo posto a Est. Con la nomea di squadra rognosa e mai
consigliabile.
Peccato che Bosh non possa più contribuire alla causa.
Top: Hassan Whiteside. Dwayne Wade è il faro della squadra,
per talento e leadership, ma il centrone ha confermato di essere un dominatore.
Stoppate a profusione, pioggia di rimbalzi e presenza da rim protector di vecchio
stampo. Un muro.
Flop: Goran Dragic. Non è una bocciatura, ma un piccolo
rimprovero. E non riguarda l’ultimo paio di mesi di regular season. Lo sloveno
è rimasto sotto le aspettative per buona parte della stagione: numeri
zoppicanti e presenza di spirito altrettanto criticabile. Speriamo rimanga
quello di fine annata.
ATLANTA HAWKS (48-34), voto 6
Voto bassino, forse troppo. Ma Atlanta ha deluso. Il quarto
posto finale a Est non dice quanto la squadra di coach Budenholzer abbia faticato
durante la stagione.
La partenza di Carroll, gli infortuni, Teague e Korver
involuti (in ripresa nel finale, soprattutto il play) sono alcuni dei motivi di
questo andamento al di sotto delle aspettative. Che, giustamente, erano
altissime dopo l’ottimo 2014/2015.
In Georgia si pensava a una lotta con Cleveland per il primo
posto nella Conference; ci si è ritrovati a non vincere nemmeno la Division.
Il quadro, comunque, non va dipinto più tragico di quello
che è. Le ultime settimane ci hanno restituito un Teague di buonissimo livello,
un Korver con la mira giusta e quei meccanismi che tanto avevano incantato nella
scorsa stagione. D’altronde, la bontà degli Hawks sta proprio nel sistema
voluto da coach Bud. E con Millsap e Horford sempre affidabili ed efficaci,
tutto può accadere.
Top: Paul Millsap. Di gran lunga il migliore dei suoi. Un
All-Star fatto e finito: lottatore su entrambi i lati del campo, tanto sotto
canestro quanto fuori dal pitturato. Ha pure trovato costanza da tre.
Flop: Kyle Korver. Sarà sempre prezioso per i tagli e la
sapienza tattica, ma se il tiro non entra diventa un giocatore prevedibile e
scontato. Ha sparato a salve per interi mesi, chiudendo le partite con
tabellini imbarazzanti, nonostante faccia tante piccole cose utili che non
finiscono a referto. Budenholzer non ha mai perso fiducia e l’ha sempre
schierato in quintetto. Giusto coì, ma deve tornare quello di prima per dare
agli Hawks qualche speranza in più.
CHARLOTTE HORNETS (48-34), voto 7.5
Michael Jordan aveva annunciato l’anno della svolta. E così
è stato. Grande stagione, per risultati e gioco proposto.
La dirigenza si è mossa benissimo, mettendo a disposizione
di coach Clifford un gruppo eclettico, compatto, malleabile e perfetto per le
idee del proprio tecnico. Batum, Courtney Lee da febbraio, il rilancio di Lin e
Lamb, la crescita di Marvin Williams e Zeller, la saggezza di un Jefferson
ridimensionato dagli infortuni ma preziosissimo: tessere di un mosaico lucente.
Reso ancor più splendente dalla magica annata di Kemba Walker.
Charlotte muove bene la palla, si affida molto al tiro da
tre (se in serata diventano letali) e alla già predetta duttilità dei propri
uomini. Possono cambiare su tutti e stravolgere i quintetti, camaleontici e
imprevedibili, ma sempre rispettosi del piano partita.
Un team affiatato, ordinato e entusiasta. Finalmente sorride
anche la North Carolina.
Top: Kemba Walker. Anche un paio di cinquantelli un una
stagione da stella. Leader per punti, assist e personalità. Volto della squadra
e guardia tra le migliori della Lega. Dopo la pause per l’All Star Game,
semplicemente meraviglioso.
Flop: Spencer Hawes. Preso proprio per quella politica del
“giocatore bidimensionale”. Purtroppo, un’altra occasione sprecata. Poche luci
e tante ombre, con i soliti dubbi sull’effettivo valore. Di settimana in
settimana, Kaminsky gli ha rubato sempre più minuti.
WASHINGTON WIZARDS (41-41), voto 5
Un fallimento. Un passo indietro brusco e inaspettato, che
costerà, quasi certamente, la panchina a Wittman.
Dalle semifinali di Conference dell’anno scorso alla mancata
qualificazione playoff, senza cambiare molto, se si esclude la partenza
illustre (col senno di poi decisiva, forse) di Pierce, rimpiazzato malaccio da
Dudley, più in borghese che in maglietta e pantaloncini.
![]() |
John Wall: annata super, ma solo a livello personale (foto dal web) |
John Wall ha cercato in ogni modo di salvare capra e cavoli, disputando un campionato altissimo livello ma, al solito, predicando nel deserto. Beal è sempre Beal, talentuoso ma fragilissimo; Nene è a tratti impresentabile. Gortat ha fatto il suo, Porter è cresciuto e gli operai alla Temple ci hanno provato, ma a questa squadra manca un’anima. Poca intensità, amnesie continue, mollezza e apatia. Più che tecnico, il problema sembra mentale.
Bisogna pensare al futuro e tornare immediatamente sulla
giusta rotta.
Top: John Wall. Play maker da tripla doppia potenziale in
ogni match. Ha avuto anche dei bassi, ma il suo 2015/2016 non passerà
inosservato. Avesse accanto un Beal sempre al 100% e un altro paio di esterni
di spessore, inventerebbe basket in punta di fioretto. Come apre il campo lui,
solo un altro paio. Senza dimenticare le quattro ruote motrici.
Flop: Nene Hilario. Il brasiliano non riesce a rivedere la
luce. Spirale negativa senza uscita che sta dilaniando la sua permanenza nella
capitale. Recuperabile? Boh. Lo terrei nel roster? Ora come ora, no.
ORLANDO MAGIC (35-47), voto 6.5
Se non fosse per l’ultimo quarto di annata, avrebbero
meritato anche mezzo voto in più Eh sì, pur arrivando ultimi nella Division e
abbandonando il sogno post season in anticipo.
Perché per Orlando era un anno di rinascita, con la prima
Skiles alla guida e una rosa giovane, talentuosa ma da sgrezzare e
disciplinare. Non caratterialmente: intensità e combattività sono state le
parole chiave di tutta la stagione.
Il nuovo allenatore ha sperimentato e cambiato molto,
soprattutto all’inizio, per poi arrivare all’assetto definitivo: Payton da
regista tuttofare, Fournier e Oladipo bocche da fuoco, Gordon tritatutto, Vucevic
macchina da doppie doppie. E una serie di altri uomini che entravano e uscivano
per fare esperienza e dare energia.
La partenza di Tobias Harris è stata dura da digerire, perché
rimpiazzarlo non è facile (così come Frye), ma fa rima con il progetto a lungo
termine voluto dalla franchigia della Florida. Col materiale a disposizione,
che ha ampissimi margini di miglioramento, si deve arrivare più in alto
possibile, senza accelerare tempi e soluzioni. Proprio per questo, una qualificazione
ai playoff sarebbe stata forse prematura. Per assurdo, avrebbe rischiato di
essere deleteria.
Step by step. La strada è quella giusta.
Top: Nikola Vucevic. Qualche acciacco di troppo non ha
frenato la crescita, silenziosa ma impetuosa, del centro serbo. Doppia-doppia
automatica e tanta leadership. Il tiro decisivo se lo prende lui, la prima
soluzione è sempre lui.
Flop: Shabazz Napier. Gli è stata data un’altra chance; l’ha
sprecata malamente. In un contesto perfetto per rilanciarsi e guadagnarsi
spazio. Evidentemente, non c’è stato motivo per darglielo.
Nessun commento:
Posta un commento