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mercoledì 20 aprile 2016

Il pagellone della regular season NBA: Northwest Division


OKLAHOMA CITY THUNDER (55-27), voto 7


La situazione è molto chiara: attacco potenzialmente inarrestabile e incontenibile, difesa a tratti orrida. Quando va bene, appena accettabile.

Il primo anno di coach Donovan non ha portato grossi cambiamenti rispetto alla gestione Brooks. Quando hai Durant e Westbrook, che catalizzano il 99% delle azioni, hai poche vie di fuga. Può essere un bene, perché sono fenomeni, ma anche un male, perché il gioco zoppica, le soluzioni sono poche e ripetitive. Di isolamento in isolamento, senza mai costruire una manovra degna di essere definita tale.

Tutto sommato, però, l’immenso talento degli attaccanti (mettiamoci Kanter, Ibaka, Waiters) fa sì che mettere punti a referto sia l'ultimo dei problemi. Quando bisogna rintuzzare le iniziative avversarie, invece, cominciano le magagne. Poco da dire: squadra che difende poco, per limiti dei propri interpreti, ma anche per mancanza di applicazione e adeguate mosse tattiche.

Sommando il tutto: Oklahoma può vincere con chiunque, ma anche perdere con chiunque. 

Con Durant in forma e un Westbrook così, la Division non poteva che essere vinta facilmente. E il terzo posto a Ovest, dietro alle irraggiungibili San Antonio e Golden State, è un traguardo preziosissimo e confortante.

Top: Russell Westbrook. Annata spaventosa, con il record di triple doppie in una stagione, 18. Numeri clamorosi per un giocatore che, ancora una volta, dimostra di avere un fuoco che lo rende unico e inimitabile. Va preso così, pregi e difetti annessi.

Flop: Anthony Morrow. Amicone di Russell Westbrook e arma tattica per allargare il campo e trasformare in canestri le aperture del play e di Durant. Uno che deve prendere lo scarico e tirare; tutto qui. Purtroppo, non ha saputo ripetere le discrete cose mostrate nella passata stagione. Impreciso, avulso, spesso ai margini della rotazione.

 

PORTLAND TRAILBLAZERS (44-38), voto 8


In estate la grande ricostruzione: via Aldridge, Matthews, Robin Lopez e Batum. Un colpo che avrebbe messo k.o. chiunque.

Contrattone a Lillard e acquisizione di giocatori giovani, in cerca di riscatto e solidi: questa la politica del General Manager Olshey. E’ stato un successo.

Annata pazzesca per i due esterni di Portland (foto dal web)

Portland è, forse, la rivelazione più bella della stagione. Terry Stotts ha disegnato una formazione divertente, temibile e consistente anche in difesa. Il duo Lillard-McCollum può tenere testa a chiunque, facendo impazzire anche le difese più arcigne, mentre i vari Plumlee, Aminu, Crabbe ecc. sono gli equilibratori che permettono a Portland di avere un gioco organico e poco lacunoso.

Per essere una squadra assemblata da poco, i risultati sono sorprendenti. Così come il tasso qualitativo che li ha portati dritti alla post season. I playoff, dunque, sono un premio tanto meritato quanto inaspettato, da cui ripartire per avere ancor più benzina negli anni futuri.

Top: Damian Lillard. Dalla pausa dell’All Star Game, una delle migliori guardie della Lega. Cecchino dall’arco, penetratore devastante, leader carismatico e funambolo del parquet. La franchigia gli ha dato ruolo e contratto da stella, lui ha risposto presente.

Flop: Noah Vonleh. Portland ha puntato su alcuni elementi in cerca di una nuova chance. Vonleh era tra questi. Cestinato da Charlotte, è arrivato in Oregon con buone aspettative e la garanzia di avere minuti e fiducia. Pian piano, però, è stato accantonato e scavalcato nelle gerarchie.

 

 UTAH JAZZ (40-42), voto 7


Davvero un peccato che non sia arrivata la qualificazione per la post-season. E’ sfuggita nel finale, favorendo i Rockets, immeritevoli di tanta grazie.

A differenza della giovane truppa di coach Snyder, che in due anni ha messo in piedi un gran bel sistema. Difesa tostissima, disciplina tattica e silenziosa efficacia. Forse troppo silenziosa. Ai Jazz, infatti, è mancata, ancora una volta, quella scintilla in più. Tutti bravi, belli, puntuali e attenti, ma manca l’uomo in grado di accendere la manovra con la trovata del genio.

Un problema che nello Utah si trascinano da anni. Perché, per il resto, la struttura è ottima: Hayward è un sottovalutatissimo fenomeno, Hood è esploso, il reparto lunghi straripa fisicamente e non tradisce, la panchina, tutto sommato, fa il suo.

Ci vorrebbe quello “zing” in più per riuscire a completare l’opera. Ma ciò non toglie che la stagione sia stata ulteriore conferma dell’ottimo lavoro svolto.

Top: Gordon Hayward. Sarebbe la perfetta spalla, di lusso, per un uomo franchigia da 20 e passa punti a partita. Perché sa fare tutto e ha l’atteggiamento da bravo ragazzo amato da tifosi e allenatore. Mai fuori dagli schemi e sempre affidabile.

Flop: Trey Burke. Ha talento indiscutibile, ma ancora non rende al meglio. Ha limiti fisici che consiglierebbero di puntare sul tiro da fuori, tuttavia si intestardisce spesso in penetrazioni malconsigliate e soluzioni estemporanee e avventate. Giocasse con più raziocinio, sarebbe un sesto uomo di lusso. 


DENVER NUGGETS (33-49), voto 5,5


Il solito, pallido anonimato. Una stagione di transizione, con l’arrivo di coach Malone e la necessità di ripianificare tutto.

Denver non ha il roster per puntare in alto, perché, tra le altre cose, manca una stella vera e propria. Passi in avanti rispetto alla scorsa e disgraziata annata, ma c’è ancora molta strada da fare.

Da salvare: Gallinari super prima dell’infortunio, Burton a tratti fenomenale, Mudiay da accudire ma già prontarello, Faried sicurezza, Jokic e Harris piacevoli sorprese. Tutti giocatori buoni, ma nulla più, almeno per ora. 

Il Gallo, alla migliore annata NBA (foto dal web)
Servirebbe un salto di qualità generale, che solo un mercato coi fiocchi potrebbe dare. Magari con cessioni illustri (lo stesso Gallo?) per cercare di imbastire qualche trade che coinvolga  nomi pesanti. Anche se la piazza non sembra essere molto appetibile, perlomeno per elementi di primissima fascia.

Top: Danilo Gallinari. Non per patriottismo (giusto un pizzico), ma per merito. Finalmente in forma, l’ex Olimpia ha dimostrato di essere quello splendido giocatore ammirato al di qua e al di là dell’Oceano. A Denver è leader carismatico e tecnico. Peccato per l’acciacco che l’ha fermato nel finale di stagione.

Flop: Mike Miller. Ovvio che non ci si aspettasse il Miller degli anni d’oro, ma nemmeno questa penuria. Mi sa che è alla frutta, fisicamente e mentalmente.

 

MINNESOTA TIMBERWOLVES (29-53), voto 5


La giovane età non regge come attenuante. Soprattutto davanti a così poche vittorie. Perché puoi essere inesperto e acerbo, ma con quel talento devi fare di più. Colpa dei giocatori ovviamente, ma anche di chi li mette in campo. Mitchell è difficilmente salvabile. Si è ritrovato allenatore capo dopo la tragedia di Flip Saunders, senza mai dimostrare di potersi meritare la riconferma.

C’erano tutti gli ingredienti per fare ottime cose. Non si parla di titolo, ma, perlomeno, di lotta playoff. Towns è un rookie fenomenale che non ha avuto bisogno di adattamento; Wiggins ha proseguito sull’onda dello scintillante anno da matricola. Già due tasselli fondamentali attorno ai quali costruire qualcosa di importante.

La sensazione è che sia stato sprecato un potenziale enorme.

Prendere questo affascinante gruppo e affidarlo a un maestro capace di farlo rendere al meglio: questa la linea guida che dovrebbe seguire la dirigenza.

Top: Karl-Anthony Towns. Preferito a Wiggins solo perché al primo anno. Impatto pazzesco, per un giocatore sorprendente. A dispetto del fisicone, una strabiliante capacità di lavorare anche lontano dal canestro, muovendosi e tirando da ala. Rookie of The Year a mani basse, con doppia-doppia quasi automatica.

Flop: Damjan Rudez. Arrivato da Indiana in silenzio, anche perché non è di certo un fenomeno. Dunque, nessuna aspettativa. Poi il buon Damjan ha deciso, chissà perchè, di esternare la propria insoddisfazione per lo scarso impiego. Accontentati: è già un miracolo che tu sia lì.

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