CLEVELAND CAVALIERS (56-26), voto 8
Voto troppo basso per chi ha vinto a mani basse la propria Conference? Forse sì, ma non c’erano dubbi sul fatto che Cleveland avrebbe centrato il traguardo. E’ bastato fare il compitino, mai scontato, benché facilino. L’Est si è dimostrato più equilibrato del solito, ma non per quanto riguarda la leadership.
Sono i principali candidati alle Finals, e la stagione l’ha confermati, nonostante un Irving fuori mesi, un Love che, cifre a parte, sembra
spesso un oggetto estraneo e, soprattutto, il repentino allontanamento di David
Blatt. Tyronne Lue ha preso la squadra e ha continuato a navigare placidamente
verso la post season, regalando frequenti riposi a LeBron e cercando di far
fare al gruppo quel salto definitivo che possa portare all’anello.
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A differenza della passata stagione i Cavs giocheranno i playoff con tutte e tre le stelle (foto dal web) |
Il quintetto titolare ha indubbie qualità: i big-three,
J.R. Smith e Tristan Thompson. La panchina, invece, non è sempre affidabile.
Tutto passerà dalle mani del Re e, perlopiù, dall’atteggiamento difensivo. In
attacco, invece, tanti isolamenti e poco spettacolo, ma la formula funziona.
Top: LeBron James. Il Prescelto è, al solito, il leader
indiscusso della franchigia. Passano le stagioni, ma rimane devastante e
dominante. Ennesima annata con cifre paurose e il piglio da padre-podrone.
Flop: Iman Shumpert. Dovrebbe essere un valore aggiunto per
la difesa e il tiro dall’arco. L’uomo giusto per portare energia ed equilibrio.
Purtroppo ha tirato malissimo (meno del 30% da tre) e ha passato molto tempo in
infermeria.
INDIANA PACERS (45-37), voto 7+
La lotta per un posto ai playoff è stata serrata e difficile. Averla superata con personalità è prova di maturità e solidità.
La buona annata dei Pacers ha nome e cognome: Paul George.
La stella è tornata a pieno regime e ha comandato le operazioni sin dalla prima
palla a due. C’è sempre stato, quando Ellis faticava tremendamente, quando gli
infortuni minavano l’equilibrio di squadra e quando i risultati non arrivavano.
PG13 al timone e un bell’equipaggio al seguito: Monta ha
iniziato male per poi trovare la propria dimensione; C.J. Miles è stato
eccellente dalla panchina; Allen, Mahinmi, Jordan Hill e il sorprendente (ma io
ci avevo sempre puntato) Myles Turner hanno dato spessore nel pitturato. Tutte
le cose al proprio posto, sotto la sapiente regia di coach Vogel.
Top: Paul George. Ovviamente lui, senza dover aggiungere
molto a quanto già detto. E’ tornato quello splendido atleta che conoscevamo:
elegante e letale allo stesso tempo.
Flop: George Hill. Non è un’insufficienza grave; forse
nemmeno un’insufficienza. Ma ancora non mi convince: un po’ timidino, poco
lucente, incostante e illeggibile. Che sia di incoraggiamento.
DETROIT PISTONS (44-38), voto 7.5
Mezzo voto in più rispetto a Indiana perché i Pistons
partivano molto più indietro. Squadra rinnovata, giovane, da scoprire e
plasmare. Per la gioia di Van Gundy, che ha creato un roster interessante e
pronto per ulteriori passi in avanti. La qualificazione ai playoff è una prima
indicazione: la strada è quella giusta.
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Reggie Jackson e Andre Drummond: connection letale (fot dal web) |
Tutti al proprio posto, con compiti ben precisi e
inquadrabili. Al pari dei rimpiazzi dalla panchina: il saggio Blake, il
tuttofare Johnson (che pesca!), il solido Baynes e il cecchino Bullock.
Gran lavoro SvG; gran lavoro!
Top: Andre Drummond. Premio da condividere con Reggie
Jackson. Anche gli altri, comunque, avrebbero meritato. Il centrone, però, è
stato semplicemente incontenibile. Ha iniziato la stagione con una serie
assurda di partite da 20+20, per poi acquietarsi un po’, ma sempre su livelli
da All-Star.
Flop: Ersan Ilyasova. Pensavo avrebbe fatto bene a Detroit.
Van Gundy l’aveva voluto fortemente (e pure io al Fanta NBA) per la sua doppia
dimensione: lungo bravo nel gioco spalle a canestro e temibile al tiro.
Purtroppo, è stata una scommessa sbagliata. Sacrificato giustamente nella trade
Harris con i Magic.
CHICAGO BULLS (42-40), voto 4
Bocciatura sonora e impietosa. Se ti presenti come contender, non puoi non centrare nemmeno i playoff, nonostante l’alibi dei tanti infortuni.
Sfortuna a parte, il primo anno di Hoiberg è stato un
fallimento continuo. Da una squadra che faceva della durezza e della difesa il
proprio punto forte (il vantaggio di avere Thibodeau), a un gruppo di anime
pascolanti senza idee e spirito.
Finché Jimmy Butler ha retto, buona parte dei problemi è passata sotto traccia; col #21 fuori, o comunque fuori forma, le magagne sono
venute a galla: poca leadership (lo stop di Noah ha influito), idee confuse,
alcuna convinzione. Non il miglior “anno zero” per aprire una nuova era.
Andranno fatte delle scelte, forse anche spiacevoli e
inaspettate.
Top: Jimmy Butler. Il periodo post infortunio va preso con
le pinze: anche se al 50%, JB è stato chiamato agli straordinari per salvare la
baracca. Richiesta esosa. Ci ha provato ma non è bastato. Ciò non cancella una
prima parte di stagione da assoluto protagonista, faro della squadra e stella della Lega.
Flop: Tony Snell. Mi sono stancato di sparare su Derrick
Rose, anche se continuo a pensare che sia solo un peso morto. Quindi la palma
di flop va a Tony Snell, caduto nell’anonimato nel corso di un’annata
in cui non gli è riuscito nulla. Sulla carta, uomo da tiro sugli scarichi e
punti dalla panchina; nella realtà, uno che non l’ha messa mai. Non ci si
aspettano prestazioni da star (il talento è appena discreto), ma, certamente,
un bel po’ di efficacia in più.
MILWAUKEE BUCKS (33-49), voto 4,5
La squadra delle giovani stelle emergenti ha completamente toppato. Un mezzo disastro. Ahi per loro, le aspettative nate dalla qualificazione ai playoff dell’anno scorso (era troppo presto?) aveva fatto salire l’asticella, di molto. L’aggiunta di Monroe in estate, inoltre, aveva fatto pensare a progetti importanti.
Delusione a palate. Perché Milwaukee ha fatto disastri per
almeno tre quarti di campionato, per rialzarsi parzialmente nell’ultimo
periodo, grazie, soprattutto, all'esplosiva intesa tra Jabari Parker (che, va
sempre ricordato, era al primo vero anno di NBA) e Giannis Antetokounmpo,
autore di un finale da campionissimo.
Segnali che fanno ben sperare per il futuro e che confermano
come il 2015/2016 sia stato buttato via malamente. Perché il talento non è in
discussione, ma tutto il resto sì. Kidd dovrà lavorare sodo: visto il
potenziale, è inammissibile un’altra annata di tale pochezza e superficialità.
Top: Giannis Antetokoumpo. Il greco ci lascia con gli occhi
brillanti per le clamorose performances di marzo e aprile. Persino uno come me,
da sempre scettico sulla sua effettiva bontà, non può che applaudire e godersi
tale mix di tecnica e atletismo. Ha fatto notevolissimi passi in avanti,
soprattutto nei fondamentali. Ora serve ripartire da questi abbaglianti ultimi mesi.
Flop: Michael Carter-Williams. Ne conosciamo bene pregi e
difetti. Pure Kidd ha le idee chiare a proposito. Il fatto che, sempre più spesso, sia Giannis a iniziare il gioco, ci dà l’idea di quanto il coach creda nel suo
play. Dargli torto? Anche no. Troppe lacune, poca pericolosità offensiva e
difficoltà a inquadrarlo fino in fondo.
Appuntamenti precedenti:
- Atlantic Division
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